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Casa delle donne per non subire violenza-Bologna

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Introduzione[modifica]

La violenza contro le donne è una delle forme più diffuse di violazione dei diritti umani[1] e un grave problema di salute pubblica globale[2]. La forma di violenza contro le donne più frequente è la violenza domestica, ovvero quell’insieme di comportamenti messi in atto da un uomo, solitamente membro del nucleo familiare, con l’obiettivo di esercitare potere e controllo sulla donna attraverso molteplici modalità di esercizio che vanno dalla denigrazione alla minaccia della violenza, fino alla violenza fisica vera e propria. La violenza intima da partner, IPV (Intimate Partner Violence) è stata descritta come una «strategia comportamentale multiforme, caratterizzata da varie manifestazioni di violenza aventi tutte il medesimo scopo: assoggettare l’altro ottenendone il controllo nell’ambito di una relazione di coppia esistente o formalmente sciolta con una separazione o il divorzio»[3]. Sull’origine della violenza contro le donne, sappiamo che proviene dall’uomo, ma anche dalla società che la favorisce o in taluni casi la provoca attraverso discriminazioni e stereotipi che rendono a tutti gli effetti alcuni comportamenti comunemente accettati, pertanto, normati dal contesto socioculturale nel quale siamo immersi.

La Casa delle donne per non subire violenza di Bologna è un Centro antiviolenza che accoglie e sostiene donne che subiscono qualsiasi forma di violenza e adottando un approccio femminista, offre aiuto concreto e promuove attività legate al cambiamento culturale, alla sensibilizzazione e alla prevenzione del fenomeno della violenza di genere. Fa parte della rete nazionale DiRe. Donne in Rete contro la violenza, come una delle 82 associazioni che gestiscono i Centri antiviolenza in Italia.

Storia[modifica]

Contesto internazionale[modifica]

Il documento che segna l’inizio del percorso istituzionale verso la definizione formale della violenza contro le donne permettendone di conseguenza il suo contrasto è la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), redatta dalle Nazioni Unite nel 1979. La Convenzione, partendo dalla definizione dei diritti delle donne come diritti umani, ribadisce la fede nella dignità e nel valore di ogni persona, attraverso il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti per le donne e per gli uomini[4].

Nella Convenzione non si parla direttamente di violenza di genere e di violenza domestica, questo accadrà soltanto all’interno delle successive Raccomandazioni CEDAW. Nella Raccomandazione Generale n. 12 del 1989 infatti si parla esplicitamente di violenza contro le donne e vengono invitati gli Stati firmatari ad includere nei loro report periodici la legislazione messa in atto per proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza, le misure adottate per contrastare il fenomeno, e le informazioni sui servizi di assistenza per le donne che subiscono violenza e dati statistici sul fenomeno. La Raccomandazione Generale n. 19 del 1992 definisce così la violenza: «La definizione di discriminazione comprende la violenza di genere, vale a dire, la violenza che è diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonché la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione della libertà»[5].

Nel 1993 con la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne si ha all’articolo 1 la prima definizione storica di violenza contro le donne intesa come «ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»[6]. Nel secondo articolo della medesima dichiarazione si specifica che la violenza contro le donne comprende violenza fisica, sessuale e psicologica.

L’ONU compie un terzo passo fondamentale nel 1995 con la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne di Pechino. Gli Stati partecipanti adottano la Piattaforma d’Azione di Pechino[7] contenente una sezione specifica, la sezione D, sulla violenza contro le donne nella quale cui viene sottolineato come essa sia una violazione dei diritti umani delle donne e delle loro libertà fondamentali.

Il documento più significativo per il contesto europeo è invece rappresentato dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (2011), conosciuta comunemente come la Convenzione di Istanbul[8]. Essa rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che riconosce la natura strutturale della violenza contro le donne e definisce la violenza domestica come una violazione dei diritti umani identificano le origini nel rapporto di potere tra i sessi nelle società[9].

Contesto nazionale[modifica]

Nei primi anni Settanta il tema della violenza sulle donne fece irruzione in Italia nello spazio pubblico con il processo del Circeo: cinque rampolli della Roma bene vennero imputati per aver seviziato, violentato e ucciso intenzionalmente Rosaria Lopez e Donatella Colasanti (salvatasi miracolosamente fingendosi morta). Lo stupro del Circeo (o massacro del Circeo) vide impegnato tutto il movimento femminista di allora e segnò la presa di coscienza collettiva rispetto alla violenza sulle donne anche grazie alla risonanza pubblica e mediatica evidenziando come il fenomeno della violenza sulle donne fosse legato intrinsecamente alle diseguaglianze di sesso e classe che pervadevano ancora l‘intera società italiana.

A partire dalla metà degli anni Settanta il ruolo dei neofemminismi sulla scena italiana (e internazionale) contribuì a nominare la violenza e a far sì che si istaurasse un dibattito pubblico sul fenomeno al fine di spingere per una legislazione volta al suo contrasto. La proposta di legge sulla violenza sessuale provocò forti perplessità all‘interno dei movimenti femministi in cui si osservò, come era stato per la legge sull'aborto, la semplificazione operata dal diritto penale nei rapporti tra sessi comportando di conseguenza un dibattito acceso sull‘opportunità di rivolgersi al diritto, penale nello specifico, da parte delle donne: sarà proprio intorno a questo dibattito che si svilupperanno le differenze tra i femminismi in Italia, in cui si possono individuare un femminismo istituzionalista, rivolto alle politiche attive di parità, e un femminismo della differenza che rivendicava al contrario l‘estraneità del femminile della grammatica del diritto e dei diritti riconoscendo in esso il paternalismo occidentale e quindi il maschilismo che lo caratterizzava storicamente e strutturalmente. Nel corso degli anni la proposta di legge venne radicalmente modificata tanto da stravolgerne anche le stesse intenzioni egualitarie alla base delle proposte iniziali: si inserirono nel dibattito pubblico visioni legate alla "famiglia tradizionale" congiuntamente ad una rappresentazione della sessualità concepita come strumento e veicolo di corruzione morale: le proposte femministe si scontrarono con quella visione del diritto penale "forte" che trasformò la donna da vittima a imputata esattamente come accadde nei processi italiani per aborto, per esempio il processo Pierobon[10].

Alla definizione del problema, fino agli anni Novanta, non è seguita una vera e propria definizione giuridica della sua rilevanza, ma al contrario della sua normalità attraverso norme sociali e giuridiche, che in Italia hanno considerato la violenza sulle donne un reato contro la morale, e non contro la persona, fino al 1996, anno dell‘approvazione della legge sulla violenza sessuale.

In questa seconda fase, sono stati fondamentali i Centri antiviolenza e i loro lavori: è stato infatti grazie alla spinta di queste esperienze che la politica istituzionale nazionale, con un gravissimo e colpevole ritardo rispetto ad altri paesi, decise di intervenire con progetti di ricerca e raccolte dati per testare le dimensioni del fenomeno. Fu così che l'Italia fu costretta realmente ad interrogarsi sullo stato delle relazioni di genere nella società, una società in cui la violenza alle donne è risultata radicata così profondamente da costituirsi non come stereotipo e pregiudizio quanto come comportamento intimamente accettato e culturalmente normato. Guardando al lavoro istituzionale sull‘analisi degli omicidi si rese evidente come la loro distinzione, in particolare inerente al contesto familiare e affettivo, fossero in realtà indagini in cui di fatto venne neutralizzata la dimensione di genere, considerandola come una variabile anziché una lente attraverso la quale leggere il fenomeno. Per questa ragione, i Centri antiviolenza, in particolare la Casa delle donne per non subire la violenza di Bologna, hanno iniziato a raccogliere i dati pubblicati sulla stampa locale e nazionale con una metodologia che catalogasse i femicidi in base alla relazione con l‘autore, all‘età, alla provenienza sia della vittima che dell‘autore, al luogo del delitto, al movente e all‘arma utilizzata, al comportamento successivo dell‘assassino e l‘eventuale reiterazione di comportamenti violenti precedenti riportati negli articoli.

La violenza domestica: la forma più diffusa e comprensiva delle molteplici forme di violenza contro le donne[modifica]

Dai rapporti annuali emerge chiaramente quanto sia proprio l‘ambito familiare costruito a partire dallo stereotipato "amore romantico" alla base della "famiglia tradizionale", quello più violento e pericoloso per le donne italiane (ma anche per quelle straniere). Queste caratteristiche proprie di un contesto sociale più ampio vedono i ruoli di genere come oggetto di continue dinamiche di ridefinizione e conservazione in quanto essi costituiscono i fondamenti dell‘ordine sociale da conservare anziché decostruire[11]. La violenza più diffusa è quindi, e non a caso, quella che avviene all’interno delle mura domestiche, ovvero nell'ambito familiare e consiste in una serie di azioni diverse ma caratterizzate da uno scopo comune: il dominio e controllo da parte di un partner sull’altro, attraverso violenze psicologiche, fisiche, economiche, sessuali. Il meccanismo che definisce le fasi di una condizione di violenza domestica subita da una donna è denominato “spirale della violenza” o “ciclo della violenza”: il termine indica le modalità attraverso cui l’uomo violento raggiunge il suo scopo di sottomissione della partner facendola sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui. Le fasi della spirale della violenza si presentano in un crescendo e poi in un mescolamento: isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto dei figli, aggressioni fisiche e sessuali si avvicendano spesso con una fase di relativa calma e false riappacificazioni, con l’obiettivo di confondere, intimidire la donna rendendola dipendente e di fatto impedendole la fuoriuscita dalla relazione violenta.

Fu per questa ragione che il dibattito dei femminismi degli anni Settanta si sviluppò intorno ai temi di famiglia e autodeterminazione, diritti e libertà spesso con la messa in campo di momenti di sottrazione dalla dimensione istituzionale e pubblica, e basando le richieste sulla rivendicazione di spazi e relazioni autonome dal controllo dello stato che nelle sue forme giuridiche, sociali e culturali avallava e confermava l'idea di una famiglia deleteria e di ruoli di genere culturalmente e socialmente normati. Se in una prima fase, quella degli anni Settanta, si assiste alla rivendicazione di spazi di agibilità e complicità tra donne interni ma separati dal dominio maschile e alle richieste di riconoscimento giuridico al fine di tutela delle vittime di violenza, la fase di sviluppo dei Centri antiviolenza durante gli anni Ottanta sposta il focus dell‘azione politica sulle pratiche di mutualismo e aiuto fondate sulla relazione tra donne, ovvero sposta il discorso dal piano della vittimizzazione delle donne a quello di un empowerment, di una dimensione progettuale e positiva di relazione esterno all'esercizio della violenza maschile[12].

Il fenomeno della violenza contro le donne e di genere: le molteplici declinazioni.[modifica]

Nella definizione di violenza di genere comprende tutte quelle forme di violenza fondate sul genere: da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio. Come per la violenza istituzionale, identificata dalle femministe degli anni Settanta in materia di aborto o accesso al mondo del lavoro, la violenza contro le donne può coinvolgere tutte le donne: non esiste infatti un prototipo di donna che subisce violenza, il fenomeno riguarda tutte.

Progetto europeo Promoting awareness cooperation training. [1]

Violenza psicologica[modifica]

La violenza psicologica è la forma di violenza maggiormente difficile da riconoscere: l’aggressore isola la vittima dalle relazioni esterne mettendo in atto una serie di comportamenti volti a diminuire nella donna la percezione di sé: la vittima non è più in grado di riconoscere gli abusi come tali né di ricordare il suo valore come essere umano. La forma di isolamento creata attraverso questi comportamenti comporta una continua presa di responsabilità della vittima verso l’aggressore determinando un fattore chiave per il mantenimento del controllo sulla vittima: obiettivo è rendere la donna completamente dipendente dall’aggressore che diventa l’unica fonte di soddisfazione e di bisogno fondamentale. Il fine ultimo è convincere la donna di “non valere nulla” per meglio tenerla sotto controllo.

Racchiude ogni forma di abuso che lede l’identità della donna:

  • attacchi verbali: derisione, molestie verbali, insulti, denigrazione
  • isolamento della donna: allontanamento dalle relazioni sociali di supporto; impedimento dell’accesso alle risorse economiche e non
  • gelosia ossessiva: eccessivo controllo; accuse ripetute di infedeltà; controllo delle sue frequentazioni
  • minacce verbali nei confronti della donna e/o la sua famiglia, figlie/i, amiche/i
  • continue minacce di abbandono se la donna non soddisfa determinate richieste
  • danneggiamento o distruzione degli oggetti di proprietà della donna
  • violenza sugli animali cari alla donna e/o figlie/i

Stalking[modifica]

Indica il comportamento subdolo, molesto e controllante messo in atto dal maltrattante nei confronti della donna da cui è stato rifiutato (si tratta prevalentemente dell’ex partner). Le condotte dello stalker sono finalizzate a porre la vittima in uno stato di soggezione, con il diretto intento di compromettere la sua serenità, facendola sentire braccata, controllatosi e non libera.

Violenza economica[modifica]

Per  violenza economica si intendono tutti quegli atti di controllo sulla donna nel suo uso e gestione del denaro, con la minaccia di negare alla stessa le risorse economiche: si realizza impendendo alla donna l’accesso al denaro o alle risorse necessarie per condurre una vita dignitosa, privandola della sua libertà. Culturalmente può sembrare "normale" e scontato che la gestione delle finanze familiari spetti all’uomo: diretta conseguenza di un modello di famiglia tradizionale sorta con la Rivoluzione industriale e perpetrata fino agli anni Settanta in cui l'uomo era appunto identificato e denominato male breadwinner[13]: consiste in un modello di sostentamento familiare in cui sono i soli uomini a guadagnare un salario provvedendo al mantenimento del nucleo familiare, mentre le mogli si dedicano ai lavori domestici e alla gestione e alla cura dei membri.

Si definisce violenza economica:

  • limitare e/o negare l’accesso alle finanze familiari
  • occultare le disponibilità finanziarie
  • boicottare, ostacolare, vietare, il lavoro produttivo della donna
  • non adempiere ai doveri di mantenimento stabiliti dalla legge post-divorzi e separazioni
  • sfruttare la donna come forza lavoro in attività familiari
  • appropriarsi dei risparmi e/o guadagni del lavoro della donna usandoli per propri scopi personali

La violenza economica è spesso intersecata ad altre forme di violenza ed è una forma di controllo diretto limitante volta ad impedire l’indipendenza della donna che non le permette di sottrarsi facilmente dalla relazione distruttiva con il maltrattante.

Violenza fisica[modifica]

Comprende l’uso di qualsiasi comportamento guidato dall’intenzione di provocare danni fisici nella vittima, tra cui:

  • lancio di oggetti
  • spintonamenti
  • schiaffi, morsi, calci o pugni
  • percosse
  • soffocamento
  • minacce e/o uso con armi da fuoco e/o da taglio

Violenza sessuale[modifica]

Consiste nell’imposizione di pratiche sessuali indesiderate e/o di rapporti lesivi fisicamente e degradanti della dignità, ottenute con minacce di varia natura. L’imposizione di un rapporto sessuale è un atto di sopraffazione, umiliazione e soggiogamento, che provoca nella vittima profonde conseguenze psichiche oltre che fisiche.

L’apertura della Casa delle donne per non subire violenza[modifica]

Socie fondatrici della Casa delle donne per non subire violenza-Bologna. Foto Patrizia Pulga.

Nella primavera del 1985 a Bologna, a seguito di tre casi di stupro su tre ragazze minorenni, vennero convocate delle assemblee presso il Centro documentazione delle donne, con sede in via Galliera 4, dando origine ad un dibattito sulla violenza contro le donne ed evidenziando soprattutto la carenza di strutture in città che potessero intervenire in aiuto delle donne che subivano violenza.

Da una prima indagine sui Centri di donne operanti in Italia, emerse subito che nel nostro paese esistevano numerosi centri di consulenza legale, generalmente costituiti da avvocate, ma mancavano del tutto le Case Rifugio, esperienza che invece all’estero, già in quegli anni, godeva di una storia più che decennale. Cercando di capire il perché di questa assenza, alcune evidenziarono il difficile rapporto delle donne italiane con le istituzioni e il timore, da molte condiviso, di fare della pura assistenza, di non favorire un’affermazione di autonomia della donna, restando nel segno di una tradizione di "patronage" che si perpetua in qualche modo ancora oggi nella concezione dei servizi sociali[14].

Si formò così un gruppo di donne che cominciò a incontrarsi regolarmente presso il Centro delle donne presso l’Associazione Orlando. Anche a seguito del fatto che al Centro delle donne continuavano ad arrivare telefonate di donne picchiate che chiedevano aiuto, il discorso si allargò dallo stupro alla violenza intrafamiliare, tanto diffusa quanto nascosta. Nel 1989 il collettivo femminista si costituì come Associazione "Gruppo di lavoro e ricerca sulla violenza alle donne" e dopo oltre cinque anni di studio e ricerca sulle attività e i progetti di altri gruppi femministi in Europa, il Gruppo di Bologna elaborò il progetto per l’apertura del Centro Antiviolenza.

Il progetto presentato prevedeva il servizio di accoglienza e ascolto per le donne che subivano violenza, la gestione di un Centro antiviolenza e di una Casa Rifugio di 5 posti letto per le donne, i loro figli e le loro figlie minorenni e un’attività di sensibilizzazione e promozione culturale sul tema della violenza di genere.

L'Associazione si orientò verso la richiesta di un finanziamento pubblico, credendo nella necessità di creare “istituzioni femminili“, di segnare politicamente le istituzioni con una presenza di genere. La costituzione del gruppo in Associazione e, parallelamente, la sottoscrizione nel 1990 di una convenzione con il Comune e la Provincia di Bologna sono stati i due momenti fondanti di un percorso che ha visto da una parte un grosso impegno di relazione con quelle donne all’interno delle istituzioni che hanno creduto nel progetto, e dall’altra il riconoscimento e la valorizzazione di uno spazio femminile autonomo e autogestito. Una pratica che a Bologna aveva trovato un importante antecedente proprio nell’esperienza decennale del “Centro di documentazione e ricerca delle donne”[15].

L’apertura della “Casa delle donne per non subire violenza” risale al 1990, nel febbraio 1991 viene fatta l’innaugurazione in via Capramozza (prima sede) di un luogo di donne contro la violenza che riconosce come interlocutore privilegiato per la propria attività e identità culturale e politica il sapere e le esperienze che altre donne hanno prodotto in Italia e all’estero. Si tratta del primo Centro antiviolenza in Italia e contemporaneamente alla Casa di Bologna sono state aperte la Casa delle donne maltrattate di Milano, dove già esisteva un Centro di accoglienza, e l'anno successivo le Case di Modena, Roma, Latina e Parma.

I principi metodologici[modifica]

Fin dall'apertura del Centro antiviolenza si sono venuti elaborando alcuni fondamentali principi metodologici d’intervento condivisi anche con le elaborazioni internazionali di altri Centri antiviolenza, soprattutto europei. La metodologia utilizzata dalle operatrici del Centro parte dalla consapevolezza che la violenza contro le donne è frutto dell'oppressione strutturale e patriarcale della nostra società sul genere femminile, e ritiene che la violenza sulle donne debba essere combattuta in modo complessivo, anche con le direttive previste dalla Convenzione di Istanbul e della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne parte importante della CEDAW.

  • L’attivazione dell’intervento solo su richiesta della donna
  • L’utilizzo esclusivo di personale femminile e la relazione tra donne
  • Il rispetto della donna e delle sue scelte, della sua capacità di giudizio e dei suoi valori personali
  • La garanzia dell’anonimato e della riservatezza
  • Il lavoro di rete, sempre a vantaggio della donna

Uscita dalla violenza: empowerment e autodeterminazione[modifica]

Il percorso di uscita proposto dal Centro antiviolenza si fonda innanzitutto su di un processo che pone il focus sulla crescita e l'assunzione di consapevolezza delle donne. La metodologia della Casa si fonda in primis sul rafforzamento dell’identità e dell’autostima della donna al fine che essa possa decidere per sé stessa e riprendere in mano il proprio progetto di vita. La metodologia dell’empowerment lavora inoltre sulla socializzazione delle donne attraverso la costruzione di relazioni tra loro che si configurino come risorsa indispensabile per il sostegno, la consapevolezza e la motivazione nella scelta di voler vivere una vita senza violenza. L'obiettivo del Centro, validato da molte organizzazioni internazionali, è dunque quello di accompagnare le donne nel processo di empowerment (rafforzamento) attraverso la costruzione di un’alleanza positiva che infonda loro il coraggio necessario per modificare la propria vita e/o prendere provvedimenti nei confronti del proprio partner/ex partner violento.

Il processo di empowerment è fondamentale per le donne al fine di permettere loro di riguadagnare potere e controllo sulle proprie vite modificando una relazione impari e basata su una gerarchia di potere culturalmente introiettata e socialmente accettata, oltre che storicamente normata.

Questo approccio, nato con le elaborazioni femministe, è inoltre esplicitamente citato dalla Convezione di Istanbul del 2011.

Targa esterna sede Casa delle donne per non subire violenza-Bologna

Le attività e i servizi offerti[modifica]

L’attività della Casa delle donne si caratterizza per alcuni principali servizi:

Accoglienza[modifica]

Il Settore Accoglienza è il fulcro del Centro antiviolenza: è la prima attivita istituita dall’Associazione per mettere in atto le finalità dello statuto. Le operatrici e volontarie gestiscono l’ascolto telefonico e personale con le donne maggiorenni, italiane e straniere, che contattano il Centro antiviolenza per problemi di violenza subiti prevalentemente da parte di uomini con i quali hanno, o hanno avuto, una relazione affettiva e intima oppure violenza subita in contesti del lavoro e ancora violenza sessuale. Viene offerto un ascolto attivo e a tutte le richieste telefoniche di informazione viene data indicazione delle modalità secondo cui la donna stessa può contattare il Centro. E’ importante che sia la donna direttamente interessata a decidere di compiere il primo passo per uscire da una situazione di violenza e si attivi di conseguenza. Il primo contatto col Centro capita spesso che venga preso da un familiare, un’amica/o, o da altri professionisti della Rete territoriale.

Il tipo di intervento adottato è caratterizzato dall’importanza assegnata alla relazione tra donne al fine di costruire libertà e autonomia femminili anche in situazioni di grande disagio e sofferenza. Si punta sul rapporto che si instaura tra la donna che viene accolta e l’operatrice costruendo una relazione su un piano di reciprocità in cui l’operatrice riconosce il punto di vista della donna, il suo desiderio, la sua progettualità, confermandole una specifica competenza sulla propria situazione. La donna che si rivolge al Centro con una richiesta di aiuto riconosce implicitamente la competenza dell’operatrice, la sua esperienza sul problema della violenza e la sua conoscenza delle risorse presenti nel territorio.

  • Colloquio telefonico

Il primo colloquio è generalmente telefonico: l’operatrice che risponde, se la donna può parlare liberamente, raccoglie la sua esperienza rassicurandola sulla riservatezza della conversazione e cercando di stabilire con lei una comunicazione significativa. Il primo passo è quello di aiutare la donna ad esplicitare il suo bisogno e il suo problema, verificando se c’è una competenza del Centro e spiegando al contempo cosa esso può offrire. Viene fatta in questo caso una prima valutazione della pericolosità della situazione vissuta dalla donna e dai suoi figli valutando il rischio.

  • Colloquio personale

Il colloquio viene proposto alla donna come uno spazio riservato e competente in cui essa possa esprimere il proprio vissuto e raccontare la propria esperienza al fine di definire un percorso e una strategia per uscire dalla violenza. Il lavoro dell’operatrice consiste nell’offrire una consulenza specifica e competente sulla situazione, fornire informazioni, effettuare un’analisi della pericolosità della situazione, evidenziare alla donna i punti di forza che emergono dal suo stesso racconto, e affiancarla nel percorso decisionale e protettivo.

Una volta individuati i punti critici da affrontare e le risorse disponibili, si stabiliscono con la donna una serie di obiettivi realisticamente realizzabili, e un progetto di fuoriuscita con tempi e compiti il più possibile definiti ma soggettivi, assolutamente condivisi dalla donna secondo i suoi tempi e desideri. All’interno di questo progetto l’operatrice sostiene la donna nella sua attività di contatto con la rete delle risorse territoriali (Servizi Sociali, Forze dell’Ordine, Studi Legali ecc.) fungendo da collegamento e vincolandosi ad operare con il suo consenso mediazioni per lei vantaggiose.

Il colloquio diventa così un’occasione fondamentale per individuare e nominare l’oppressione, per iniziare un processo che abbia come obiettivo principale quello della decolpevolizzazione, l'uscita dal silenzio e dall’isolamento e l'individuazione di risorse interne e strade concrete per tutelarsi e cambiare la situazione esistente. Un percorso di empowerment dove l'operatrice e sempre un passo dietro la donna, ma davanti.

Ospitalità[modifica]

Le donne con i/le loro figli/e possono trovare ospitalità temporanea in una delle case ad indirizzo segreto, gestite dall'Associazione. L’ospitalità può essere organizzata in accordo con la donna a seguito di una valutazione della situazione condotta insieme all’operatrice a seguito della valutazione del rischio corso dalla donna predisponendone l’ingresso in Casa Rifugio. Nel caso in cui la donna si sia rivolta al PRIS o alle Forze dell’ordine e si trovi in una situazione di imminente e grave pericolo, viene ospitata presso la Casa Rifugio d’Emergenza. La terza opzione abitativa offerta alle donne è quella dell’Alloggio di transizione, un prolungamento dell’esperienza in Casa Rifugio previsto affinché la donna abbia la possibilità di riacquistare pienamente un’autonomia e indipendenza economica sufficiente al suo sostentamento e a quello dei/delle suoi/sue eventuali figli/e.

  1. Case rifugio: gli appartamenti a indirizzo segreto gestiti dalla Casa delle donne distribuiti in vari quartieri della città, offerte a comodato gratuito da Enti pubblici e privati all'associazione. Sono state concepite per offrire alle donne un luogo sicuro, ma di passaggio, per sottrarsi alla violenza del (ex)partner, che spesso aumenta nel periodo in cui la donna tenta di separarsi. È un luogo in cui intraprendere con tranquillità un percorso di allontanamento materiale e emotivo dalla relazione violenta e ricostruire con serenità la propria autonomia. Le case rifugio offrono protezione alle donne maggiorenni con o senza figli/e, italiane e straniere, che subiscono violenza accogliendole presso strutture ad indirizzo segreto, dai 6 agli 8 mesi. Nelle case rifugio lavorano operatrici esperte e un’educatrice per le/i bambine/i e volontarie che offrono loro sostegno emotivo e pratico in un delicato momento di passaggio e di cambiamento. Viene garantito inoltre approvvigionamento alimentare al fine di sostenere coloro che non hanno alcuna fonte di reddito.
  2. Case di Emergenza (Save e Casa Ri-uscire): sono appartamenti di civile abitazione a disposizione dell’associazione in comodato d’uso, dispongono di 6/9 posti letto (Casa Save) e di 8/10 posti letto (Casa Ri-Uscire) a seconda della composizione dei nuclei e l’età dei/delle minori. Il servizio si rivolge a donne italiane e straniere – con o senza minori – vittime di maltrattamenti e violenza che necessitino di un’immediata ospitalità a causa della pericolosità del rientro nella propria abitazione. Offrono immediata ospitalità 24 ore su 24 a donne vittime di violenza, e ai loro figli e figlie. Il periodo di ospitalità è pari ad 1 mese eventualmente prorogabile a due; le strutture sono ad indirizzo segreto. Alle donne ospiti viene garantito approvvigionamento alimentare e beni di prima necessità. Per le donne straniere che non parlano italiano è garantita la possibilità di svolgere alcuni colloqui di interpretariato telefonico con una mediatrice linguistico-culturale. Le strutture hanno un angolo di gioco per bambini/e. All'interno delle strutture sono presenti quotidianamente operatrici esperte per assicurare alle donne e ai minori ospiti sostegno emotivo e pratico in questa delicata fase di protezione e cambiamento. Tutte le donne ospiti possono usufruire di tutti i servizi offerti da Casa delle donne. L’accesso a Casa Save e Casa Ri-Uscire avviene su richiesta del PRIS – Pronto Intervento Sociale, Asp Città di Bologna e dei Servizi territoriali della provincia di Bologna. In caso di richiesta diretta pervenuta alla Casa delle donne, la situazione sarà segnalata ai suddetti servizi. I requisiti indispensabili per l’accesso sono:
    • la disponibilità dei posti letto richiesti
    • la volontà esplicita della donna di ricevere protezione e ospitalità
    • l’assenza di patologie psichiche conclamate, tossicodipendenze, alcolismo e altri disagi importanti che possano inficiare la convivenza con le altre donne e minori ospiti
    • la totale autonomia della donna nella gestione propria e dei propri figli/e
    • la sottoscrizione del Regolamento interno e in particolare dell’impegno a mantenere la segretezza dell’indirizzo e la riservatezza sulle altre ospiti
    • la disponibilità alla convivenza con altre donne e bambini/e
    • i figli maschi possono essere ospitati fino all’età di 14 anni.
  1. Case di transizione: concesse all’Associazione attraverso un bando pubblico del Comune di Bologna, offrono alle donne, dopo il periodo di ospitalità nelle case rifugio, una sistemazione abitativa autonoma per un periodo più lungo ed hanno come obiettivo il progressivo recupero di autonomia da parte della donna e ri-costruzione di un clima sereno ed equilibrato a beneficio dei minori. La donna, ospite nelle case rifugio, può fare richiesta di accedere a questo servizio all’operatrice delle case rifugio. La responsabile delle Case di transizione, valutata la compatibilità della situazione della donna con i requisiti del progetto di seconda accoglienza, concorda insieme alla donna la fine dell’ospitalità presso la casa ad indirizzo segreto e il passaggio della donna o del nucleo madre-figlio/a nell’alloggio autonomo. Periodicamente e/o su richiesta della donna ospitata è garantita la presenza, con funzioni di affiancamento e supporto di un’operatrice. Il progetto è coordinato da una responsabile che provvede a gestire la logistica di tutti gli appartamenti. Il servizio garantisce la privacy e la tutela della riservatezza alle donne sia nella fase di intervento diretto che a percorso concluso.
Servizio specialistico di psicologia[modifica]

Questo servizio ha l’obiettivo di far emergere il fenomeno del maltrattamento, della violenza sessuale e dell’esposizione alla violenza domestica subita da bambini/e ed adolescenti, e di offrire percorsi di sostegno ed aiuto alle/i bambine/i, alle loro madri per prevenire il rischio di trasmissione trigenerazionale e transgenerazionale della violenza di genere, attraverso la promozione di modelli trasformativi. Lo staff composto da psicologhe specilizzate ha una formazione specialistica sulla rilevazione, protezione e trattamento dei minori. Il servizio offre percorsi di sostegno psicologico e psicoterapia ai bambini, alle bambine, agli/alle adolescenti che hanno subito violenza e percorsi di sostegno alla genitorialità per le donne che hanno subito violenza dai ex partner. Prevede la progettazione di attività di prevenzione primaria e secondaria nei contesti scolastici e educativi del territorio di Bologna.

Il servizio, infine, supervisiona le attività educative realizzate in Casa Save e nelle Case rifugio gestite dall’associazione.

Oltre la strada[modifica]

Il servizio fa parte della rete regionale "Oltre la strada" che promuove la realizzazione su tutto il territorio della Regione Emilia-Romagna di specifiche misure di assistenza per le vittime di sfruttamento sessuale, tratta di esseri umani e uscita dalla prostituzione come previsto dalla normativa nazionale. Nel programma unico confluiscono tutte le azioni già precedentemente previste dall’art. 13 L. 228/2003 e dell’art. 18 DLgs 286/98, garantendo alle vittime di tratta e sfruttamento, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, e, successivamente, la prosecuzione dell’assistenza e l’integrazione sociale. Oltre la strada prevede percorsi finalizzati alla protezione e all’inclusione socio-lavorativa rivolti a donne migranti vittime di tratta che vogliano sottrarsi a una situazione di violenza e sfruttamento sessuale e/o lavorativo.

Il programma si attuato attraverso tre fasi specifiche:

  • La presa in carico: in cui viene valutata la situazione della donna, le viene fornito un orientamento legale e vengono soddisfatte le prime necessità.
  • Il percorso di protezione: in cui vengono attuate in parallelo le azioni di regolarizzazione e le attività di empowerment.
  • L’inclusione sociale: in cui la donna viene inserita nel mondo del lavoro al fine di raggiungere l’autonomia economica ed abitativa.

Le donne hanno anche la possibilità di usufruire di un programma di rimpatrio assistito attuato dall’O.I.M. (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

È inoltre a disposizione un appartamento di prima accoglienza dato in convenzione dal Comune di Bologna per offrire un’opportunità abitativa alle donne che aderiscono ai percorsi di protezione sociale. Il progetto dispone di un alloggio di transizione finalizzato all’accoglienza di donne vittime di tratta che abbiano cominciato a inserirsi a livello lavorativo, anche se non ancora completamente autonome. L’accoglienza delle donne che aderiscono al programma si basa sui principi metodologici della Casa delle donne e dunque sulla centralità della relazione di aiuto, che vede le donne come protagoniste attive del proprio percorso finalizzato al raggiungimento dell’autonomia. L’obiettivo è quello di produrre autonomia ed evitare che si crei una dipendenza della donna dal servizio, che renderebbe cronica la condizione di bisogno di aiuto.

Sportello lavoro[modifica]

Lo sportello di orientamento e accompagnamento al lavoro è attivo a Bologna dal 2005 grazie al sostegno della Regione Emilia Romagna e dell’Unione Europea. Destinatarie del progetto sono le donne in percorso presso il Centro Antiviolenza ed ha lo scopo di potenziarne le risorse personali ed ambientali messe in campo per la ricerca attiva del lavoro. Al fine di promuovere il reinserimento lavorativo delle donne l’orientamento lavorativo si articola concretamente su più azioni come i colloqui di orientamento e accompagnamento, tutoraggio dei percorsi, tirocini per la mediazione all’occupazione, babysitteraggio, mediazione culturale, etc.

Linea Lesbica contro la violenza nelle relazioni lesbiche/bisessuali[modifica]

La Casa delle donne collabora con l'Associazione Lesbiche Bologna al fine di sostenere l’empowerment e l’autodeterminazione delle persone LBTQ. La collaborazione prevede il sostegno e aiuto a donne/ragazze lesbiche e bisessuali che subiscono violenza, sia dalla propria compagna sia da conoscenti e/o familiari, perché la violenza può essere fisica, ma anche psicologica, sessuale, economica e stalking. Le volontarie e attiviste delle Linea Lesbica Antiviolenza e la Linea Lesbica hanno avuto diversi anni di formazione e scambio con la Casa delle donne e le donne vengono indirizzate reciprocamente ai due servizi.

Settore promozione, comunicazione, fundrasing[modifica]

Nel corso degli anni l’attività dell’associazione si è sviluppata su vari piani ampliando l’area di intervento a nuove problematiche e iniziative culturali, di prevenzione, di sensibilizzazione, di formazione ad altri soggetti, di ricerca, di documentazione, di produzione di materiale documentario, di impegno in campo legislativo a carattere nazionale, di messa in rete e di coordinamento locale, nazionale e internazionale.

Essendo uno dei Centri antiviolenza di più lunga esperienza in Italia, la Casa delle donne ha da sempre dedicato particolare importanza all’aspetto formativo e di sensibilizzazione in quanto strumento fondamentale per lo sviluppo della metodologia di accoglienza alle donne e ai/alle minori che subiscono violenza e indirizzato a un cambiamento culturale. Molteplici organizzazioni e istituzioni si rivolgono ogni anno alla Casa delle donne per collaborazione su corsi di sensibilizzazione in materia di violenza contro le donne.

Fin da subito la Casa delle donne, infatti, si è fatta interprete della necessità di diffondere sul territorio italiano la conoscenza della metodologia di accoglienza, le buone prassi e gli interventi professionali sviluppati in Europa con l’obiettivo di implementare la rete a livello nazionale e internazionale, lo sviluppo, lo scambio e il confronto di strategie comuni, e la diffusione e valorizzazione di metodologia e materiali specifici sull’argomento della violenza di genere. La sempre maggiore rilevanza che la tematica ha acquisito nel dibattito pubblico italiano ha reso imperativo analizzare e decostruire il linguaggio sulla violenza, condividendo fatti, informazioni scientifiche, ricerche, al fine di sfatare miti, pregiudizi e comportamenti culturalmente normati, favorendo al contrario lo scambio costruttivo e proficuo di esperienze e riflessione sulla tematica.

Iniziative legate alla figura di Angela Romanin

Responsabile del settore fino al 2021 è stata la storica socia e attivista Angela Romanin, conosciuta per l'alto valore da lei riservato alla formazione, una delle voci più autorevoli nella lotta e nelle strategie per combattere la violenza contro le donne, attiva in ambito nazionale e internazionale. Ha contribuito alla stesura del manuale europeo Away from Violence: Guidelines for setting up and running a women’s refuge ed è co-autrice di La violenza da partner nelle relazioni di intimità: l’accesso delle donne alla protezione e alla giustizia. In suo onore, dopo la scomparsa nel 2021, sono stati attivati progetti come il premio di laurea a lei titolato e un corso di formazione.

Dal 2005 la Casa delle donne si impegna a sensibikizzare e far conoscere i dati sul femminicidio in Italia. L'attività di ricerca viene svolto da un gruppo di ricerca sul Femicidio, attroverso un monitoraggio puntuale di tutti dei femminicidi pubblicati sulla stampa italiana. Annualmente viene pubbliclicato un report di sintesi e il Gruppo pubblica un blog che offre i dati dei femminicidi raccolti dalla stampa, articoli di informazione, sensibilizzazione e conoscenza sul tema. Dal 2017 la Casa delle donne ha collaborato alla ricerca sugli orfani di femminidicio di Anna Costanza Baldy[16] importante e primo studio in Italia su figli e figlie delle donne uccise.

  • Promozione e comunicazione

La comunicazione all'esterno è ritenuta fondamentale sia per fornire informazioni corrette alle donne in cerca di aiuto sia per proporre linguaggi differenti nel parlare di violenza contro le donne, spessa segnata da stereotipi e norme culturalmente condivise. La Casa delle donne, oltre alle proprie iniziative, collabora con scuole, università, associazioni, festival garantendo la propria presenza sul territorio al fine di sensibilizzare la cittadinanza.

Dal 2021, tramite il proprio canale, propone il Podcast Taci anzi PARLA uno spazio di discussione e approfondimento, pensato per parlare di violenza sulle donne e di genere e di strategia di contrasto alla violenza a fronte di una narrazione schiacciata e stereotipata nei comuni linguaggi propri dei mass media: socie, operatrici e volontarie della casa si ritrovano ogni mese all’interno di questo podcast per apportare un vero e proprio ribaltamento di norme e stereotipizzazioni comunemente, storicamente, culturalmente e socialmente accettate e continuamente riproposte.

In particolare, intorno al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza contro le donne, la Casa delle donne promuove tutti gli anni a partire dal 2006 Il Festival La violenza illustrata. Il Festival si costituisce come un momento di forte sensibilizzazione e formazione sul tema della violenza maschile contro le donne e la violenza di genere attraverso la collaborazione con associazioni, cineteche, teatri, università e l'organizzazione di incontri, convegni, workshop, laboratori sul territorio cittadino.

File:Casa delle donne per non subire violenza.jpg
Manifestazione 25novembre 2006

Storia del Festival

La Casa delle donne sin dal 2006 ha deciso di realizzare un appuntamento annuale di celebrazione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, dal titolo Festival La violenza illustrata. Inteso come insieme organico di eventi culturali, il Festival nasce con l'obiettivo di valorizzare e promuovere la cultura femminista nella nostra società, costruire quindi una visione diversa di cosa si intende con violenza contro le donne, disparità di genere, Centri antiviolenza, politica delle donne, empowerment, e lasciare infine alla città un forte segnale di contrasto alla cultura sessista e patriarcale.

Si tratta del primo e unico Festival in Italia incentrato sulla tematica della violenza di genere, con l’intento di raggiungere il maggior numero di persone possibili, di ambiti e con linguaggi diversi, pensando, com/pensando, informando, cambiando e sensibilizzando intorno alla violenza maschile contro le donne.

Ogni anno viene scelto un tema di attualità, un focus di approfondimento, intorno al quale viene costruito l’insieme degli eventi con il fondamentale supporto creativo, ormai da diversi anni, dell’agenzia di comunicazione Kitchen. A loro dobbiamo l’elaborazione del titolo generale di lancio del Festival - “Fin che morte non vi separi”, “Happy hand”, “Taci anzi parla”, ecc. - associato a un’immagine originale creata da illustratrici femministe.

Brochure informative edizioni Festival La Violenza Illustrata

Il Festival propone un programma che valorizza al massimo la presenza di artiste, scienziate, studiose e letterate donne, rompendo anche così con una predominanza maschile nella scena pubblica artistica, è stato pensato e realizzato da un gruppo di attiviste, professioniste della comunicazione e volontarie della Casa delle donne e, con gli anni, la sua realizzazione è stata possibile anche grazie alle numerose associazioni e enti coinvolti attivamente.

Il Festival diventa così un catalizzatore, contenitore, nonché promotore di tutte le iniziative presenti sul territorio e legate alla tematica comune della violenza contro le donne, contaminando tutta la città e molti comuni della provincia di Bologna. Si può a questo punto parlare di un Festival diffuso, disseminato in tutta la città e oltre, un occasione per creare rete.

I numerosi partner della assegna annuale non sono solo associazioni di donne e categorie professionali in contatto con le vittime di violenza e già sensibili sul tema, ma anche enti sportivi, categorie sindacali, circoli aziendali, centri anziani e giovanili e molti altri. La volontà di "contaminare" ambiti che normalmente non hanno familiarità con il tema della violenza contro le donne, lanciando così la sfida di volere andare oltre gli ambiti consueti e trasmettere una parte del sapere ad ambiti considerati lontani, è uno degli obiettivi legati al concetto di "sensibilizzazione".

Il nome del Festival viene da una citazione di un testo del poeta Nanni Balestrini, in cui dimostrava, attraverso dei titoli di giornale, l’invariante di violenza presente nei media di cui gli spettatori e i lettori vengono resi purtroppo partecipi diventando vittime inconsapevoli e incapaci di decifrare i messaggi della comunicazione di massa.

Il Programma si propone di presentare i contenuti attraverso immagini, video, proiezioni cinematografiche, illustrazioni e fumetti, spettacoli teatrali e performance artistiche, esibizioni di cori, mostre e installazioni, letteratura e poesia e altri mezzi artistici che parlino della violenza sulle donne in modo diverso, senza mostrarla in maniera cruenta. La rappresentazione della violenza contro le donne va infatti mediata e non riprodotta in modo diretto in quanto può generare emulazione da parte di chi non ha gli strumenti per una sua elaborazione corretta.

Esiste un modo appropriato per parlare della discriminazione e dell’abuso, del sessismo, della violenza maschile contro le donne, senza mostrare corpi scomposti, sangue, facce tumefatte e immagini che ledono, ancora una volta, il corpo delle donne e le rappresentano come vittime sacrificali.

Il pubblico a cui il Festival si rivolge vuole essere il più vario e molteplice possibile e anche per questo la varietà di eventi è aumentata con gli anni: da laboratori esperienziali di empowerment, a presentazioni di libri, eventi sportivi, campagne con un impiego mirato della grafica e dell’illustrazione innovativa e originaria, dirompente rispetto all’immagine usuale di ciò che significa rappresentazione della violenza di genere.

Nel 2019 l’impostazione del Festival è cambiata, e in sinergia con una campagna internazionale già attiva da diversi anni, la Campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza alle donne, promossa dalle Nazioni Unite e dal Center for Women’s Global Leadership dal 25 novembre al 10 dicembre, la giornata finale del Festival è diventata quindi il 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani, in quanto la violenza contro le donne è considerata una violazione dei diritti umani delle donne. I 16 giorni di attivismo chiamano in causa, oltre alle associazioni di donne già attive in tutto il mondo, anche gli enti pubblici, per un impegno concreto a mettere in luce il fenomeno della violenza contro le donne e attuare misure per prevenire e contrastare la cultura sessista e discriminante.

  • Fundraising

Nel 2020 sono state decine le raccolte fondi attivate a favore di Casa delle donne da parte di persone, uomini e donne, connessi direttamente a Casa delle donne o coinvolti da familiari e amiche/amici. Le donazioni e il contributo del 5 per mille rappresentano uno strumento prezioso e fondamentale per il sostegno concreto alle attività offerte gratuitamente dall’associazione alle donne che ne fanno richiesta. Il 5 per mille, legato alla dichiarazione dei redditi, rappresenta un’opportunità gratuita per tutti le/i contribuenti di sostenere i servizi di Casa delle donne. Tra i principali obiettivi c’è quello di contribuire all’incremento delle fonti di sostentamento per tutti i servizi e le attività promosse dall’associazione, poichè le sole convenzioni stipulate con gli enti locali di riferimento sono risultate nel tempo insufficienti. Le esigenze e i bisogni a cui Casa delle donne deve far fronte non sono solo meramente economici. Rappresentano, quindi, una straordinaria risorsa tutte le ore di volontariato che riescono a garantire a tutti i servizi e alle attività associative di procedere senza impedimenti, con risposte immediate ed efficaci anche durante un periodo emergenziale come quello appena trascorso. I finanziamenti indiretti comprendono tutte le numerose collaborazioni virtuose con enti, associazioni e privati che si adoperano per il Centro organizzando raccolte di fondi e materiali vari o donando direttamente.

Reti[modifica]

L'associazione fa parte attivamente di molte reti nazioni e internazionali contro la violenza, sia reti e associazioni di donne, specificatamente dedicate alla violenza che tavoli inter-istituzionali contro la violenza.

Note[modifica]

  1. Grimaldi T., La violenza “domestica” contro le donne, in Romito P., Folla N. e Melato M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Roma, Carocci Faber, 2018.
  2. World Health Organization, Global and regional estimates of violence against women: prevalence and health effects of intimate partner violence and non-partner sexual violence, 2013.
  3. Salerno A., Psicodinamica delle relazioni violente. Aspetti psicologici, clinici e sociali, in Vaccaro S. (a cura di), Violenza di genere. Saperi contro, Milano – Udine, Mimesis Edizioni, 2016, p.55.
  4. https://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CEDAW.aspx
  5. http://www.cidu.esteri.it/resource/2016/09/48434_f_CEDAWmaterialetraduzione2011.pdf.
  6. https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-contesto/normativa-internazionale
  7. http://dirittiumani.donne.aidos.it/bibl_2_testi/d_impegni_pol_internaz/a_conf_mondiali_onu/b_conf_pechino/a_finestra_1/a_piattaforma_dazione_pdf_zip/pechino_1995/Pechino_01_3-8_dichiaraz.pdf
  8. https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=09000016806b0686
  9. Beltramini L., La Convenzione di Istanbul: una pietra miliare nel contrasto e nella prevenzione della violenza contro le donne, in Romito P., Folla N. e Melato M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Roma, Carocci Faber, 2018.
  10. https://www.lavoroculturale.org/oggi-ieri-domani-molto-piu-di-194/valentina-greco/2018/
  11. Pitch T., Un diritto per due. La costruzione giuridica di sesso, genere e sessualità, Il Saggiatore, Milano 1998.
  12. Creazzo G., La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia, in Studi sulla questione criminale, anno III, vol. 2, 2008.
  13. Casalini B., Il femminismo e le sfide del neoliberismo. Postfemminismo, sessismo e politiche della cura, Roma, IF Press srl, 2018, p. 115.
  14. https://www.casadonne.it/chi-siamo/storia/
  15. https://www.casadonne.it/chi-siamo/storia/
  16. Orfani speciali: chi sono, dove sono, con chi sono. Conseguenze psico-sociali su figlie e figli di femminicidio / Anna Costanza Baldry, Milano, Franco Angeli, 2017 ISBN 9788891756640

Voci correlate[modifica]

Violenza contro le donne

Femminismo

Centro antiviolenza

Diritti delle donne

Empowerment

Autodeterminazione

Femminicidio

Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna

Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne

Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne



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