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Altre figure del cinema italiano

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Produttori[modifica]

Dino De Laurentiis

La costituzione di una struttura tecnico-finanziaria destinata in maniera stabile alla produzione di pellicole cinematografiche fa il suo ingresso fin dagli albori della settima arte. Ciò si fa ancora più evidente nel momento in cui l'offerta delle macchine da proiezione si allinea a un mercato autonomo di pellicole impressionate, destinato a crescere a velocità inusitate.[1] Uno dei primi produttori emersi a cavallo degli anni venti e trenta è stato Stefano Pittaluga. Il magnate ligure favorisce un sistema integrato che copre, oltre a produzione, distribuzione e esercizio, anche gli stabilimenti di sviluppo e stampa, creando un impero che alla sua morte, avvenuta nel 1931, passa direttamente alla Banca commerciale italiana.[1] In Italia, l'unica dinastia di produttori che, partita con il cinema muto, è rimasta attiva nella realizzazione di fiction televisive, è quella dei Lombardo la cui attività, iniziata da Gustavo fondatore della Titanus, viene portata al successo economico e artistico dal figlio Goffredo Lombardo, che per i vari meriti in campo produttivo riceve nel 1995 il Leone d'oro alla carriera.[1]

Dagli anni trenta alla fine degli anni Cinquanta, il modello italiano di "produttore finanziere" viene incarnato da Riccardo Gualino (della Lux Film), che per lo più affida, con contratti di appalto a budget chiuso, la realizzazione di pellicole a "produttori-autori" come Luigi Rovere, Angelo Rizzoli e soprattutto Carlo Ponti e Dino De Laurentiis (Premio alla memoria Irving G. Thalberg), entrambi tra i magnati cinematografici più importanti e infaticabili di tutto il panorama italiano.[1] In seguito, tutte le stagioni del cinema successivo al dopoguerra trovano nei vari finanziatori un punto fermo e inamovibile. Molte produzioni di genere vengono curate per tutti gli anni cinquanta da Fortunato Misiano, mentre costantemente in bilico tra cinema d'autore e cinema più disimpegnato si sono mossi Franco Cristaldi, Alfredo Bini, Mario Cecchi Gori e Alberto Grimaldi. Negli ultimi decenni i produttori italiani sono stati indotti a misurarsi con un mercato in profonda trasformazione, imparando a navigare tra finanziamenti ministeriali, prevendite televisive e coproduzioni europee, che rendono l'attività produttiva meno continuativa e senz'altro più aleatoria. Senza contare i numerosi protagonisti di case di produzione indipendenti come Andrea Occhipinti (fondatore della Lucky Red) e Angelo Barbagallo (cofondatore della Sacher Film), conoscono notorietà Domenico Procacci e Aurelio De Laurentiis, fautore del rilancio di un cinema più popolare e generalista.[1]

Sceneggiatori[modifica]

Cesare Zavattini

Nel cinema italiano del periodo muto la sceneggiatura si sviluppa con ritardo, per via di una forte dipendenza da strutture narrative antecedenti, basate sulla successione di "quadri" ispirati dai tableaux vivants e dalle lastre per lanterne magiche, e soprattutto dall'illustrazione letteraria di stampo divulgativo.[2] Molte sceneggiature portano la firma del poeta Guido Gozzano o Roberto Bracco, in aggiunta di veristi come Grazia Deledda e Giovanni Verga, e naturalmente di Gabriele D'Annunzio e Luigi Pirandello. Dopo l'avvento del sonoro gli addetti alla sceneggiatura acquistano un ruolo determinante tanto da far evolvere la scrittura per il cinema in un'autentica dimensione professionale, non più ad esclusivo appannaggio dei vari letterati di grido. Durante gli anni quaranta si mettono in evidenza intellettuali e scrittori come Sergio Amidei (candidato quattro volte al Premio Oscar) e Cesare Zavattini. Quest'ultimo, al di là della sua fiorente attività letteraria, si è distinto per la copiosa produzione di soggetti cinematografici e per un'instancabile attività volta al rinnovamento del cinema, una forma d'arte che ha sempre considerato duttile e popolare. Esponente di prim'ordine del Neorealismo ha collaborato con i più grandi cineasti italiani tra i quali: Michelangelo Antonioni, Alessandro Blasetti, Mauro Bolognini, Giuseppe De Santis, Federico Fellini, Luchino Visconti e naturalmente Vittorio De Sica, in special modo durante la stagione neorealista.

Suso Cecchi D'Amico

Dal dopoguerra, e in particolar modo a partire dagli anni cinquanta, conoscono fama sceneggiatori come Agenore Incrocci e Furio Scarpelli (meglio conosciuti come Age e Scarpelli), che per oltre trent'anni hanno tracciato, nella stesura dei vari script, le linee fondamentali di tutta la commedia all'italiana; così come Suso Cecchi D'Amico che per la sua attività di scrittura per il cinema ha ricevuto nel 1994 il Leone d'oro alla carriera. Ancora da sottolineare sono i contributi di Rodolfo Sonego (specialmente per Dino Risi) e quelli della caustica coppia formata da Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, anch'essi autori di punta di molti soggetti per commedie. A seguire si evidenzia l'operato di Ruggero Maccari - nominato all'Oscar per il film Profumo di donna (1974) - di Piero Tellini - che vince il Prix du scénario al Festival di Cannes per il film Guardie e ladri (1951) - e di Ugo Pirro (nome d'arte di Ugo Mattone), sceneggiatore per Carlo Lizzani, Mauro Bolognini e in maniera assai più duratura per Elio Petri, con cui si aggiudica la Palma d'oro alla miglior sceneggiatura per il film A ciascuno il suo (1967).

Tra gli anni ottanta e novanta, il cinema italiano ha ricevuto un contributo decisivo da una nuova generazione di scrittori, che hanno messo in discussione la struttura narrativa classica, proponendo tipologie di copioni assai innovativi e coinvolgenti.[2] Fra i tanti si elencano: Stefano Rulli e Sandro Petraglia, Vincenzo Cerami, Francesca Marciano, Enzo Monteleone, Ugo Chiti (anche costumista e regista), Franco Bernini, Francesco Bruni e Angelo Pasquini. Non si può tralasciare, naturalmente, l'apporto alla sceneggiatura dato da poeti e scrittori quali Tonino Guerra, Tullio Pinelli, Bernardino Zapponi ed Ennio Flaiano, che per molti anni hanno affiancato alle varie stesure registi come Fellini e Antonioni.

Autori delle musiche[modifica]

File:Nino Rota 1972.jpg
Nino Rota

In Italia, i primi tentativi di sonorizzare le immagini risalgono all'epoca del muto. Già nel 1909 la Manifattura cinematografica Fratelli Pineschi costruisce un sistema per sincronizzare immagini e suoni con avviamento automatico di un grammofono, mentre nel 1921 l'inventore siciliano Giovanni Rappazzo mette a punto una pellicola a impressione contemporanea di immagine e suoni, che per vari motivi non trova applicazione.[3] Con la seguente invenzione del sonoro si sviluppa la nuova professione del compositore per il cinema, che regalerà le sue prime personalità a cavallo tra gli anni trenta e quaranta. Uomini di cultura come Mario Labroca e Guido Gatti attirano al cinema musicisti dell'area 'colta' come Giorgio Federico Ghedini, Felice Lattuada, Gian Francesco Malipiero, Lorenzo Perosi e Riccardo Zandonai.[3] Il primo a dedicarsi come specialista a questo settore, formando con il suo insegnamento tutta una schiera di allievi, è Enzo Masetti, che antepone a ogni preoccupazione la funzionalità e la subordinazione della musica alle immagini.[3] Tra i vari compositori del periodo si citano: Alessandro Cicognini (legato specialmente a Vittorio De Sica), Renzo Rossellini (attivo soprattutto per i film del fratello Roberto) e Giuseppe Rosati.

Ennio Morricone riceve il premio Città di Roma 1996

Sempre negli anni trenta esordisce in qualità di autore per il cinema il compositore milanese Nino Rota. Dopo alcuni accompagnamenti musicali per il regista Raffaello Matarazzo, conosce all'inizio degli anni cinquanta il regista Federico Fellini, impegnato a dirigere Lo sceicco bianco (1952). Ha così inizio una proficua collaborazione che consacrerà il musicista lombardo a livelli internazionali. A questo proposito, si ricorda la marcetta creata per il film (1963), diventata nel tempo la bandiera della clownerie felliniana e soprattutto la sigla musicale con cui il nome di Rota risuona nella memoria collettiva di tutto il mondo. Contemporaneamente lavora per Luchino Visconti, firmando le colonne sonore dei rinomati Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963). Nel 1972 ottiene grande successo per le musiche del film Il padrino, di Francis Ford Coppola, ricevendo, due anni più tardi, l'Oscar per la miglior colonna sonora originale nel seguito Il padrino - Parte II (1974).

File:Armando Trovajoli 51.jpg
Armando Trovaioli

All'inizio degli anni sessanta emerge la figura del compositore romano Ennio Morricone. La sua carriera include un'ampia gamma di generi compositivi, che fanno di lui uno dei più eclettici musicisti per il cinema di tutti i tempi[4]. Divenuto illustre grazie al felice sodalizio con l'amico e regista Sergio Leone, ha collaborato con alcuni dei nomi più prestigiosi della cinematografia nazionale e internazionale. Nella sua lunga e rinomata professione è stato candidato agli Oscar per ben cinque volte, ricevendo nel 2007 un Oscar onorario alla carriera. L'artista è stato, inoltre, insignito di tre Grammy Award, due Premi Golden Globe, cinque British Academy Television Awards, un Leone d'oro alla carriera, dieci David di Donatello, undici Nastri d'argento, due European Film Awards, un Golden Lion Honorary Award ed un Polar Music Prize. Molte delle sue colonne sonore hanno trovato stima e approvazione in ogni parte del mondo, impreziosendo importanti pellicole quali: C'era una volta in America (1984), C'era una volta il West (1968), Giù la testa (1971), Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), Mission (1986) e Nuovo Cinema Paradiso (1988). Tra gli anni sessanta e settanta si sviluppa una spontanea fioritura di musicisti, che sovente, con duttilità e risultato, si sono cimentati nella composizione di svariate colonne sonore. Tra i molti si ricordano: Franco Mannino, Carlo Rustichelli, Angelo Francesco Lavagnino, Fiorenzo Carpi, Piero Piccioni, Piero Umiliani, Armando Trovajoli, Egisto Macchi, Riz Ortolani, Nicola Piovani, Franco Piersanti, Carlo Crivelli e Pino Donaggio.

Addetti al montaggio[modifica]

Nino Baragli con la moglie alla moviola Prevost, nel 1957

Il montaggio, o decoupage classico, viene considerato una delle parti più rilevanti dell'intera messa in scena cinematografica. Il montatore segue le indicazioni dell'autore, che supervisiona il lavoro compiuto, e procede a ispezionare il girato tagliando le inquadrature utili ed unendole tra loro. Tutte le scene, girate secondo le esigenze della produzione, sono successivamente montate nell'ordine previsto dalla sceneggiatura, o in altro ordine che emerge secondo le necessità della narrazione. In Italia il tecnico Mario Serandrei viene generalmente considerato la prima figura di montatore moderno, inteso come collaboratore del regista alla verifica e riscrittura della sceneggiatura in moviola.[5] Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta è uno dei protagonisti della battaglia culturale per la rinascita del cinema italiano, sia nelle vesti di critico sia in quelle di tecnico. Dotato di spiccata personalità, ottiene un ruolo di rilievo nella stagione del Neorealismo, legando il proprio nome ai primi capolavori di Luchino Visconti. Tra gli altri registi con i quali ha collaborato, si riportano: Alberto Lattuada, Federico Fellini, Franco Zeffirelli e Mario Soldati. Negli anni cinquanta si fa strada il montatore Nino Baragli che lavorerà per molte pellicole del regista Sergio Leone ed anche per autori quali Pier Paolo Pasolini e Luigi Comencini.

Il montatore Ruggero Mastroianni

Negli anni sessanta debutta in qualità di montatore Roberto Perpignani, considerato dalla critica uno dei più validi e specializzati professionisti cinematografici.[6] Il suo debutto è al fianco del regista statunitense Orson Welles nel film Il processo (1962), per poi collaborare in molti film del regista Bernardo Bertolucci. Da oltre quarant'anni ha stretto un sodalizio artistico con Paolo e Vittorio Taviani, operando dai primi anni sessanta in tutte le loro pellicole. Sempre negli anni sessanta conosce notorietà il montatore Ruggero Mastroianni, che in oltre quarant'anni di carriera si aggiudica cinque David di Donatello, di cui uno postumo per il film La tregua (1997) di Francesco Rosi. In tempi più recenti conosce grande affermazione internazionale l'artista Pietro Scalia che a partire dagli anni novanta lavora con grandi personalità del cinema come Oliver Stone, Gus Van Sant e Ridley Scott. Dall'Academy viene insignito per due volte dell'Oscar per il miglior montaggio nei seguenti film JFK - Un caso ancora aperto (1992) e Black Hawk Down - Black Hawk abbattuto, uscito nelle sale nell'autunno del 2001.

Direttori della fotografia[modifica]

Vittorio Storaro

Nell'ambito dell'organizzazione del lavoro cinematografico - così come si è venuto a configurare negli anni trenta - un lavoro di preminente importanza riguarda la direzione della fotografia. In qualità di garanti dell'immagine dei film, i direttori della fotografia hanno visto accrescere la propria importanza in maniera direttamente proporzionale all'espandersi dell'industria.[7] Tra i grandi maestri della fotografia italiana grande successo internazionale ottiene Vittorio Storaro, vincitore di tre premi oscar per la direzione nei film Apocalypse Now (1979), L'ultimo imperatore (1987) e Reds (1981).[8] A seguire troviamo Aldo Graziati, prematuramente scomparso durante le riprese del film Senso (1954); sua è la fotografia nelle pellicole Umberto D. (1954), di Vittorio De Sica e Otello, di Orson Welles (1952). Altra figura di spicco è senz'altro Carlo Di Palma che collabora in molte produzioni tra le quali: Identificazione di una donna (1982), Blow-Up (1966) e Deserto rosso (1964), di Michelangelo Antonioni, La tragedia di un uomo ridicolo (1981), di Bernardo Bertolucci e gran parte dei film di Woody Allen.

In egual misura si impone il romano Giuseppe Rotunno. Delle sue direzioni fotografiche ricordiamo: La città delle donne (1980) e Amarcord (1974), di Federico Fellini, All That Jazz - Lo spettacolo comincia, di Bob Fosse (1979), La Bibbia (1966), di John Huston, Il Gattopardo (1963) e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti. A partire dagli anni sessanta emerge Tonino Delli Colli, che ha firmato, anch'egli, fotografie per alcuni dei più grandi registi italiani come Pier Paolo Pasolini, nei film Uccellacci e uccellini (1966), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Mamma Roma (1962) e Accattone (1961), Federico Fellini ne La voce della Luna (1990) e Sergio Leone in C'era una volta in America (1984). Si segnala ulteriormente Gianni Di Venanzo per le opere (1963) e Giulietta degli spiriti (1965) di Fellini, L'eclisse (1962) e La notte (1961) di Antonioni, I soliti ignoti (1958) di Monicelli e Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi. Da menzionare ancora Otello Martelli e Pasqualino De Santis, quest'ultimo vincitore di un Oscar per il film Romeo e Giulietta (1968), di Franco Zeffirelli. Altro importante rappresentante della fotografia cinematografica italiana nel mondo è sicuramente Dante Spinotti che ottiene ben tre nomination all'Oscar, senza tuttavia, conquistarne nessuna. Tra gli anni ottanta e novanta si formano nuovi e importanti direttori tra cui: Giuseppe Lanci, Luciano Tovoli, Luca Bigazzi e Fabio Olmi.

Scenografi[modifica]

Dante Ferretti

Sin dagli albori del Novecento, fin da quando il cinema si trasforma da oggetto meramente riproduttivo a puro mezzo espressivo, si sviluppa la necessità di "mettere in forma" l'ambiente in cui l'azione si svolge e di realizzare in luoghi deputati (come ad esempio i teatri di posa), la scenografia di un film.[9] Durante gli anni Dieci prende campo in Italia il filone dei colossal storico-mitologici che porta ad un naturale passaggio dall'allora scenografia dipinta (secondo la pratica instaurata da Georges Méliès) a quella costruita in cartapesta, stucchi e legno, sviluppatasi successivamente nel cinema americano di David Wark Griffith.[9] Le ricostruzioni d'epoca si basano prevalentemente sul gigantismo delle architetture, evidente nella ricostruzione del Tempio di Moloch nel film Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone. Dagli anni cinquanta e sessanta artisti come Piero Gherardi, Danilo Donati e Mario Garbuglia raggiungono con il loro operato notevoli aspetti di deformazione creativa, regalando alle proprie scenografie momenti di elevato estro illusionistico. Tale raffinata abilità artigianale si rinviene nell'opera scenografica di Luciana Arrighi, insignita con il premio Oscar nel 1993 per Casa Howard di James Ivory.[9]

In particolar modo raggiunge clamore internazionale il scenografo Dante Ferretti, che fin dall'esordio nella pellicola Medea (1970), di Pier Paolo Pasolini, ha collaborato con alcuni dei più grandi maestri del cinema, aggiudicandosi, negli anni duemila, tre premi Oscar nei relativi film: The Aviator (2004), di Martin Scorsese, Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), di Tim Burton e Hugo Cabret (2011), ancora per la regia di Scorsese. L'artista marchigiano, in ambito nazionale ha totalizzato quattro David di Donatello e ben tredici Nastri d'argento. Un caso a sé rappresenta il lungometraggio digitale Il mistero di Oberwald (1980), di Michelangelo Antonioni, uno dei primi artisti a interessarsi alle possibilità espressive della nuova tecnologia, ricorrendo alla simulazione di ambienti e alla creazione di effetti cromatici per visualizzare gli stati d'animo dei vari personaggi in scena.[9] Proprio dagli anni Ottanta la progettazione di scenografia si è coniugata con la sperimentazione tecnologica, modificando in maniera perentoria le svariate modalità di lavoro, facendo divenire indispensabile il rapporto tra gli scenografi e gli artisti della computer grafica; oggi più che mai chiamati a progettare, con le tecnologie digitali, ambienti e location simulati.[9]

Costumisti[modifica]

File:Il Casanova di Federico Fellini.png
Una scena tratta da Il Casanova di Federico Fellini (1976), film che ha valso a Danilo Donati il suo secondo Oscar per i costumi

Nel cinema primitivo, ancora ridotto a mezzo tecnico privo di risorse economiche, l'operato dei costumisti non presenta particolari problemi espressivi, se non gli stessi emersi da sempre negli spettacoli teatrali.[10] Con l'inizio degli anni Dieci alcuni registi prestano una più decisa attenzione all'uso dei costumi. A farlo è soprattutto il regista Giovanni Pastrone che nel proprio kolossal Cabiria (1914) viene coadiuvato dal pittore Camillo Innocenti e da diciotto disegnatori, che nel realizzare i costumi prendono spunto da reiterate visite a musei dell'antichità.[10] Da lì in avanti e in tutte le sue stagioni, il cinema italiano ha potuto frequentemente contare su validi ed efficienti costumisti. Dell'epoca del muto si ricordano: Duilio Cambellotti e Luigi Sapelli. Con la nascita del sonoro la personalità più eminente è Gino Carlo Sensani che firma i costumi in alcuni film dei maggiori registi del periodo. Alla sua scuola, presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, si formano Maria De Matteis, Dario Cecchi, Maria Baronj e Piero Gherardi.[10]

Altri costumisti d'eccezione sono stati Virgilio Marchi, Antonio Valente e l'artista romano Vittorio Nino Novarese, che nel 1963 riceve l'Oscar per i costumi nel film Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz. Si ricordano ancora Pier Luigi Pizzi, Milena Canonero (Oscar nel 1976 per Barry Lyndon di Stanley Kubrick) e Gabriella Pescucci, vincitrice del premio Oscar per L'età dell'innocenza (1993) di Martin Scorsese e costumista del film C'era una volta in America (1984) di Sergio Leone. A loro volta troviamo Nanà Cecchi, che ha lavorato in sede internazionale per film interpretati da Richard Gere e Sean Connery e Ugo Pericoli, che ha collaborato con Steno, Luigi Zampa, Dino Risi ed Ettore Scola.[10] Fondamentale il sodalizio stabilito con Federico Fellini oltre che da Piero Gherardi, dal costumista e scenografo Danilo Donati. Il professionista emiliano - due volte insignito dell'Oscar per i film Romeo e Giulietta (1968) e Il Casanova di Federico Fellini (1976) - ha lavorato, a partire da Fellini Satyricon (1969), a gran parte delle opere del regista riminese, trovando acclamazione internazionale grazie ad una precisa ricostruzione filologica di abiti e costumi.[10]

Altra personalità di rilievo è l'artista toscano Piero Tosi. Allievo del pittore Ottone Rosai, ha riprodotto con grande perizia costumi per alcune delle opere più rinomate di Luchino Visconti, come Senso (1954), Le notti bianche (1957), Rocco e i suoi fratelli (1960), e Il gattopardo (1963). Nel 2014 (per l'assoluta qualità del suo operato), diviene il primo costumista italiano a ricevere dall'Academy un Oscar alla carriera. Da non dimenticare, i costumisti Lucia Mirisola, Maurizio Millenotti, Anna Anni, Francesca Livia Sartori e Carlo Simi, collaboratore costante in tutti i film western di Sergio Leone.

Truccatori e addetti agli effetti speciali[modifica]

Carlo Rambaldi

Prima dell'era digitale il materiale per produrre effetti speciali riguardava le pure componenti meccaniche e plastiche, oppure ottiche e fotografiche (come ad esempio la simulazione del volo umano). Tale operazione di modifica dell'immagine filmica si è evoluta in maniera sempre più sorprendente, in particolar modo negli ultimi decenni dove gli effetti speciali vengono creati tramite elaborazione grafica al computer, quasi sempre ottenuta in fase di postproduzione.[11] Nella prima metà del novecento fino alla fine degli anni settanta, tale attività si amalgama spesso con quella del truccatore, soprattutto sui set di pellicole a sfondo horror. Mario Bava, oltre che regista e direttore della fotografia, ha spesso costruito in prima persona sapienti e artigianali effetti speciali, coadiuvato in più circostanze dal rinomato truccatore Francesco Freda. Altro truccatore di fama diviene, dalla fine degli anni ottanta, l'artista Manlio Rocchetti, vincitore (assieme a Lynn Barber e Kevin Haney) di un premio Oscar al miglior trucco per il film A spasso con Daisy (1990), diretto dal regista americano Bruce Beresford.

Durante gli anni settanta si evidenzia la figura del truccatore e direttore degli effetti speciali Carlo Rambaldi. Le capacità dell'artista prendono campo al fianco del regista Dario Argento, per il quale contribuisce a realizzare gli effetti splatter del noto lungometraggio Profondo rosso (1975). Il successivo incontro con la produzione di Hollywood gli permette di affinare ulteriormente le proprie abilità, mediante l'utilizzo della meccatronica (i quali effetti vengono ottenuti grazie all'unione di procedimenti propri della meccanica e dell'elettronica). Nel 1976 si aggiudica il suo primo Oscar per i migliori effetti speciali nel film-remake King Kong, dell'autore John Guillermin. Il secondo Oscar giunge nel 1979 per la realizzazione (assieme a Hans Ruedi Giger) della popolare creatura extraterrestre Alien, presente nell'omonimo film di Ridley Scott[12] Nel 1982 l'operato di Carlo Rambaldi entra nell'immaginario collettivo con l'ideazione dell'alieno protagonista del film campione di incassi E.T. l'extra-terrestre, per la regia di Steven Spielberg. L'umana e istintiva simpatia del personaggio condurranno l'Academy a insignire l'artista di un terzo Oscar, divenendo da allora uno dei professionisti più qualificati di tutto il panorama internazionale. Sempre nell'ambito del cinema di fantascienza collabora ad altre rinomate pellicole, tra le quali Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), sempre di Spielberg, e Dune (1984), del cineasta David Lynch.

Dalla metà degli anni ottanta trova spazio Sergio Stivaletti, autore di numerosi effetti per il cinema dell'orrore, lavorando più volte al fianco di Dario Argento, Lamberto Bava e Michele Soavi. Nel nuovo millennio si fa conoscere Vittorio Sodano, che debutta nel cinema con il film Prima del tramonto (1999) di Stefano Incerti, per il quale ottiene un riconoscimento per il trucco e gli effetti speciali al Festival del film Locarno. Nominato all'Oscar per il film Apocalypto (2006), di Mel Gibson, riceve due David di Donatello per le pellicole Il divo (2008), di Paolo Sorrentino e Noi credevamo (2011), del regista Mario Martone.

Doppiatori[modifica]

File:Ferruccio Amendola alla batteria.jpg
In alto un giovane Ferruccio Amendola

Nel 1932 apre i battenti il primo stabilimento di doppiaggio italiano presso la società Cines-Pittaluga cui seguono la Fotovox e la ItalaAcustica nel 1933, anno in cui lo stabilimento di doppiaggio Fono Roma viene attrezzato con l'apposito strumentario tecnico.[13] Nella seconda metà degli anni trenta il doppiaggio italiano viene ad assumere precise caratteristiche tecniche e artistiche, arrivando a delineare i principali requisiti del doppiatore che poggiano sull'innata dote di una voce calda ed espressiva.[13] Queste qualità hanno reso celebre la scuola di doppiaggio italiana, che nel tempo, ha visto impegnati qualificati attori di teatro e di cinema, nonché, ovviamente, specialisti del settore.

Tra i molti riportiamo: Giorgio Albertazzi, Gino Cervi, Enrico Maria Salerno, Giancarlo Giannini, Alberto Sordi, Giulio Panicali, Pino Locchi, Giuseppe Rinaldi, Cesare Barbetti, Renato Turi e Oreste Lionello, per anni inconfondibile voce del regista e attore comico Woody Allen.[13]

Nel 1944 nasce la prima e più importante società cooperativa di doppiaggio, la CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici), che assembla circa 150 iscritti divisi in varie categorie (direttori di doppiaggio, protagonisti, comprimari, caratteristi e generici), e nel 1945 viene alla luce la ODI (Organizzazione Doppiatori Italiani), che raggruppa attori per lo più provenienti dal teatro.[13] Alla fine degli anni trenta si afferma la pratica di doppiare alcuni attori italiani. Questo fenomeno dilaga fino alla metà degli anni sessanta e trova la sua ragion d'essere nell'insoddisfazione del regista per la dizione dell'attore di turno e per una generale diffidenza dei produttori rispetto alle voci di alcune attrici italiane, considerate troppo ruvide o sgradevoli, sia nel timbro che nel tono.[13]

Altri sicuri protagonisti dell'arte del doppiaggio sono stati i professionisti Manlio Busoni, Glauco Onorato, Fiorella Betti, Anna Miserocchi e naturalmente Ferruccio Amendola, forse l'esempio più duttile e moderno nell'utilizzare una tornita dizione, capace di scardinare la rigidità delle varie tecniche tradizionali. La sua voce ha prestato per anni inflessioni e cadenze ad attori del calibro internazionale di Dustin Hoffman, Robert De Niro e Al Pacino.[13]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 Produzione - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 3 giugno 2015.
  2. 2,0 2,1 Sceneggiatore - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 3 giugno 2015.
  3. 3,0 3,1 3,2 Colonna sonora - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 4 giugno 2015.
  4. Italian composer Morricone scores honorary Oscar, Reuters.com, 23 febbraio 2007. URL consultato il 22 settembre 2013.
  5. Mario Serandrei - Treccani, su treccani.it. URL consultato l'11 giugno 2015.
  6. (Fonte: Key4biz 30 agosto 2009 notizia 193023).
  7. Direttore della fotografia - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 5 giugno 2015.
  8. Vittorio Storaro - Biografia Corriere della Sera, su cinquantamila.corriere.it. URL consultato il 5 giugno 2015.
  9. 9,0 9,1 9,2 9,3 9,4 Scenografia - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 6 giugno 2015.
  10. 10,0 10,1 10,2 10,3 10,4 Costumi - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 6 giugno 2015.
  11. Effetti speciali - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 6 luglio 2015.
  12. Carlo Rambaldi, Mostri C. corriere.it
  13. 13,0 13,1 13,2 13,3 13,4 13,5 Doppiaggio - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 6 giugno 2015.

Voci correlate[modifica]


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